Giornalismo torrese 2

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"L'INFINITO" E "IL PENZATORE"
ANNI
70

Per dare foga ai due articoli che seguono  mi sforzai di scriverli con lo stile malapartiano, non solo, ma accentuai la tecnica con quello ancora più regionale, toscaneggiante con cui lo scrittore stese "Maledetti toscani". Il risultato mi entusiasmò.

GIOVENTU' TORRESE
AH, CHE BEATA!

Una gioventù, quella torrese, la quale, più che perduta è non già bruciata, ma, come dire, ha preso fumo. E non si pensi, per carità, a giudicare dal "fumo", che il giovane, a Torre, non sia caratterizzato dallo slancio, dall'impetuosità, dall'ardore propri della giovinezza. Non si creda, per amor di Dio, che il torrese, a differenza degli altri giovani contemporanei, non abbia la fierezza di sentirsi figlio. Ché sentirsi figlio, oggi, sia la cosa più imbarazzante del mondo, è cosa vecchia. Ché il problema numero uno dei giovani sia la mania di apparire adulti, più che maturi (prerogativa quest'ultima ostentata dai grandi) è risaputo.
E sentirsi figlio, a Torre, più che sentirsi adulto, significa assumere le vesti di padre, che è un modo molto moderno di essere giovane. Ed è per questo che mai s'è sentito dire che un giovane, uno solo, nella nostra città, sia figlio di papà. Non perché i papà manchino, ma perché i figli, prima che di papà sono di mammà. Al che il maligno non ci venga a dire che l'autorità materna, a Torre, sia un matriarcato.
E cosa ne sarebbe allora del genitore maschio se la madre autorizzasse e il figlio comandasse? E ci scusino gli stranieri se noi torresi teniamo tanto alle nostre cose, specie ai figli, che sono la cosa più nostra del mondo. E se quello scioccone di Freud ci viene a dire che ciò è solo avidità di possesso materno, ci spieghi pure come mai, rispetto al figlio, il marito valga così poco pur essendo una cosa propria?
Ah, quello scioccone di Freud, - borbotta il maligno - che crede di aver risolto i problemi della psiche di tutti. Che venga a Torre, che venga a capire le donne torresi, insieme alle madri, e alle madri delle madri. E mi pigli un colpo se al manicomio non va a finire lui e tutti gli adepti della sua scuola!
Che il giovane, a Torre, abbia un grande valore perché, oltre ad essere figlio solo alla madre, e solo nipote alla nonna, e cosa da antidiluviani. Ed è noto a tutti che le prime clave furono inventate dalle donne torresi, all'età della pietra, per mettere fuori uso la testa dei mariti. Come è pure molto noto che la testa dei mariti funziona sempre al comando della moglie, specie, appunto, quando è fuori uso. ll maschio, a Torre, da giovane, ha un grande valore, si direbbe valga il doppio, appunto perché, una volta sposato, non varrà più nulla. Ed il maligno non dica che sarà solo uno strumento portapane.
E ché, non sapevate che un neonato maschio, a Torre, vale il doppio? Se si crede che abbia voluto dire che il figlio, trattandosi di «peso», lo si vada a comprare, il maligno, che non vuole tacere, non ci venga a dire che, in fondo, è come se lo si andasse a rubare, dal momento che se il maschio resta sparisce l'uomo.
E non a caso si dice, a Torre, che: «E' la donna che fa l'uomo», che e un po' la stessa cosa di dire: '«E' la ragazza che fa il giovane». E ciò, credete, non significa che la ragazza in un certo senso lo concepisca, ma che gli da, sempre in un certo senso, una seconda vita. Noi conosciamo bene la fama che godono i giovani torresi nel mondo come conquistatori per ciò che concerne l'amore.
Noi sappiamo bene che le ragazze, invece, hanno lo sguardo fulminante; che conquistano con gli occhi, se per conquistare s'intende quel modo di accalappiare fatto di moine, e mi guardo bene dal dire: adescatrici. Cio che non mi è chiaro è che, ad accalappiata conclusa (confetti compresi) e i cani non c'entrano qui, non si sa bene se il conquistatore sia li maschio o la femmina.
Perché quando si parla di matrimonio, nella nostra città, bisogna parlare di maschio e femrnina, quasi come per garanzia. Perché, specie in questo caso, l'uomo e la donna non c'entrano proprio.
E mai nessun torrese giovane è stato messo al bando perché non abbia consumato. Certi problemi, grazie a Dio, non ci sfiorano neppure. A noi maschi, s'intende. Perché come fai, caro il mio grullo, a capire se la ragazza, al posto di consumare, non ti consumi soltanto. Ed è fortuna della donna, figlia del demonio, di poterti ingannare perfino con la verità, che sarebbe l'amore.
Ma alle donne torresi, per carità, mai è passato per la testa di ingannare i maschi. Si guardano bene le donne torresi non già dal mettere, ma dall'essere messe al bando che non è la stessa cosa dell'esser messe incinte. Ché se metti al bando un uomo è cosa da nulla ma provati a mettere al bando una donna, vedi che ti succede. E il giovane, a Torre, grazie al Signore, peli sulla lingua non ne ha, forse perché non ha nemmeno le caccole nel naso che non è la stessa cosa di avere la cacca nei pantaloni, prerogativa che, guarda caso, più che dei piccoli, a Torre, è talvolta dei grandi, per non dire dei grossi.
Ed è per questo che i giovani, ancora grazie al cielo, e non alla cacca dei grandi, hanno tutti il complesso. L'insieme strumentale, s'intende. Perché il torrese appunto, animo sensibile, e non ipersensibile, quando si tratta di complessi va per la maggiore.
E ché, non sapevate che i complessi dei torresi sono i piu grossi del mondo?
Non sapevate che un complesso, a Torre, a differenza dei complessi di Roma, di Parigi o di Londra, vale per lo meno il doppio, proprio come i componenti di esso, che sono maschi due volte, questa volta non già grazie al cielo, ne alle nuvole, ma a mammà.
E ditemi se v'è mai capitato di vedere una donna, a Torre, con un complesso, come contrariamente capita di vedere altrove. Ditemi se vi è mai capitato di vedere una ragazza che ragioni con la propria testa e non con quella della madre, per non dire della nonna. E la ragione per cui le ragazze torresi di complessi non ne voglion sentire è perché è loro costume lasciare i complessi ai maschi, prima e dopo il divenire suocere, sebbene il maligno, (più maligno che mai) ci dice che la donna, a Torre, è suocera ancor prima di nascere.
Ah, l'amore, l'amore l'amore, quante cose può fare l'amore, diceva Luigi Tenco, senza sapere, naturalmente che l'amore a Torre, può far tutto. Se parli dei giovani, nella nostra città, non ti succede niente. Ma provati a parlar dei figli. Certamente metti il dito sulla piaga. Che, più che mettere il dito tra moglie e marito, è un mettere il dito soltanto. E non c'è modo più torrese di parlare dei figli che quello di mettere il dito sulla piaga soltanto. E sono proprio i figli, in questo caso, che tengono alto il vessillo dell'integrità del vincolo, non già da giovani o da piccoli, ma da prima di esistere.
E mai s'è sentito dire che, grazie ai figli, un tetto, uno solo sia stato abbandonato, a Torre; né mezzo tetto, né una sola tegola. E chi ci viene a dire che il tetto del torrese, in fondo, sia il cielo, io dirò che si tratta d'un tetto coniugale, il quale, più d'una «campata in aria» è non già un vivere in Paradiso, ma all'inferno, sebbene il maligno ci venga a dire che sia una "campata" e basta. Con ciò non si vuole affatto dire che il matrimonio del torrese sia un inferno, ma che certe cose, dalla donna torrese, religiosa genuina, sono viste giustamente da un profilo peccaminoso, per cui è inevitabile il finire tra le gambe del diavolo, che è un modo molto torrese di sentenziare i peccati.
E non è mia intenzione lasciar intendere che la gioventù, più che perduta o bruciata ha preso fumo per il motivo che, i giovani, più che sentirsi figli si sentono servi, dal momento che ogni rapporto affettivo diretto non sembra altro che un contratto di compravendita. E non sapevate che tra i giovani, a Torre, non ci sono ne servi né padroni? E che nemmeno i servi di Dio si chiaman cosi? Ché noi torresi giovani il Signore lo consideriamo amico e non padrone, ché quando ci va di chiamarlo lo chiamiamo per nome. E i bigotti o i bacchettoni, che sono i maggiori servi (e non s'è capito mai bene se di Dio o dei preti e non sacerdoti che è tutt'altra cosa), tentano di imitare noi giovani, se tentano di chiamare il Signore per nome, si guardino bene della sua ira, che non si placa con i «mea culpa» o con le preghiere «riparatrici» del lunedì. E se il Signore ci permette che lo chiamiamo per nome è perché sa che siamo dei poveri innocenti, che gli scontiamo peccati non commessi, che tra le gambe del diavolo i giovani, a Torre, ci stanno da vivi prima che da morti. E il maligno ci lasci in pace, volendo dire che le gambe del diavolo hanno con le gonnelle di mammà e della nonna qualcosa di pressoché analogo.
E la gioventù, a Torre, non ha preso fumo perché il «diavolo», già dalla nascita, gli ha preso l'anima (non ho detto la personalità), quella è riservata a mammà.. E se si è tentati di dire che per lo stesso motivo i nostri giovani prima di contrarre matrimonio vengono pesati, trattandosi di valere il doppio, io dirò che per la stessa ragione gli stessi giovani alla fine "prendono la bilancia dalla parte del grosso". Ma non per lo stesso motivo, a Torre, i giovani sono tutti uguali, che non è certo la stessa cosa di essere tutti uguali essendo vecchi. E se non si discrimina, specie tra gli adolescenti, il merito non è certo dei vecchi, i quali dettano ai figli non già vecchiaia, ma vecchiezza, che è un modo molto moderno di educare.
E son cose che succedono solo a Torre, che mentre stai a parlare dei giovani ti capita di parlar dei vecchi, che della gioventù vogliono fare cosa propria. E non è il caso di stupirsi di trovare giovani che non parlan da vecchi, ma che sembran vecchi essi stessi. E come suona male da noi il detto: "La gioventù, viene una volta e non torna più".
Si sa che, a Torre, la giovinezza, prima che dopo i quarant'anni, viene dopo i sessant'anni. Ah, la gioventù torrese che l'amore non lo ha ereditato dal genitori o dagli educatori, ma l'ha trovato per terra! E non dite che non sapevate che cercare l'amore per strada sia un modo molto idoneo d'esser moderni. Ché non è la stessa cosa di trovare l'amore in famiglia, che oggi e un po' come, non già cercarla per i vicoli ma l'esser portato per essi. E chi confonde l'amore col piacere si guardi bene dal non confondere l'amore con la felicità, che sono due cose ben distinte dagli adulti, ma non per noi giovani, che sono la stessa cosa, quando per amore s'intende la salute mentale e per la felicità la conquista di essa.
E non sapevate che cercare l'amore per la strada sia un modo molto fortunato d'esser giovani, oggi? Ché si dice di giovani che cerchino l'amore nei circoli chiusi, che il maligno chiama circoli viziosi. Ma il torrese, (che i circoli viziosi li crea solo grazie alle matriarche) lo cerca sotto il sole, per la strada, in piena luce. E il vedere i giovani torresi cercare l'amore per strada, da parte dei bacchettoni ed affini, è non già il considerare estirpati complessi e tabù, ma solo il vederli cercare l'amore sotto la luce, ma una luce artificiale.
E non ci venga a dire il maligno, che i giovani cercano l'amore fuor di casa non potendolo trovare dentro, perché sarebbe come lanciare la calunnia che i giovani torresi soffrano di incomunicabilità, che non già il figlio non sopporti lo sguardo del padre, ma il padre quello del figlio
 Ed il problema è certo grosso quando si parla dei torresi, che, grazie alle madri e alle suocere, non si sa mai chi sia il padre, chi il figlio; e forse anche grazie al cielo, perché non dimentichiamolo, la mamma, a Torre, è non già sempre la mamma, ma «l'angelo della casa». E provati a cambiare idea ad un giovane, a Torre, e per il sesso, e per la politica, e per l'arte. Ché se vuoi cambiar la testa a noi torresi fai prima a tagliarla, che non è la stessa cosa di tagliar la testa al toro, perché risolvere un problema, a Torre, è cosa seria. E se tagliar la testa al toro resta difficile quanto tagliar la testa soltanto si finisce, a Torre, giovani e vecchi, col tagliare soltanto.
Ché tagliare o forbiciare, si sa, è gran pregio di noi torresi, che non già tagliamo il nemico, ma l'amico, dove c'è più gusto a tagliare. E provati a girare il capo, a Torre, e provati, mentre sei con i più cari amici, a girare un attimo le spalle. E vedi se non torni a casa con i fondelli rotti.
E non sapevate che i torresi sono gli unici giovani al mondo che sappian distinguere la civiltà dal progresso, naturalmente fino a che non entra in ballo la donna del cuore. Ché se prima la civiltà e il progresso erano dignità e comfort, dopo sposati la civiltà è prendere per i fondelli il prossimo, il progresso è prenderli per il sedere. Il che non è la stessa cosa, dal momento che donna del cuore, civiltà e progresso non vanno mai bene insieme.
Ma sebbene talvolta abbia dato l'impressione di parlar male del miei colleghi (e non vi stupite se, specie a Torre l'essere concittadini sia una professione, perché i rapporti hanno sempre un che di affare) mi preme dire che la gioventù, nella nostra città, è composta da un pugno di gran bravi ragazzi. E quando si dice bravi ragazzi non s'intenda dei fessi, che è un modo d'intender la brava gente molto in voga oggi. Ma guai se venite a rompere le uova nel paniere ai bravi ragazzi. Con le uova rotte vi romperanno i rapporti per sempre. E non c'è legge che possa punire chi rompa il paniere a chi gli vada a rompere le uova.
E ché, non si sapeva che il giovane; a Torre, quando rompe, rompe fino in fondo? Non si sapeva che il giovane, a Torre, paga i peccati e li fa pure pagare? Che non gl'importa se il nemico sia principe, papa o padreterno? E di padreterni, a Torre, credetemi, ce n'è tanti, ma per fortuna non ce n'è di giovani. Per fare il padreterno terreno bisogna esser sposato, e per dirla col maligno, si deve non valere più nulla. E non vi capiti, per carità, d'esser nemico d'un giovane, illudendovi che sia la stessa cosa d'esser nemico d'un vecchio, che è il modo più adatto di far la guerra con «i botti a muro», di cui, certi «nemici», fanno prima o poi la fine.
E se i giovani, grazie ai non giovani, (che dire vecchi li offenderebbe) sono caratterizzati dall'ardore di agire, ma oppressi dalla vecchiezza trasmessa. Il motivo non è da ricercarsi nel fatto che essi, più che figli di papà, o figli di mammà, sono nipoti alla nonna.
Che la gioventù torrese sia bella, è cosa vecchia; che tutti i giovani, a Torre, maschi e femmine siano i più belli del mondo è cosa che risale a quando il creatore, così, a caso, al posto di sgranocchiare noccioline o fare parole incrociate, si mise a creare il torrese. Ma non lo creò bello, anzi lo fece grinzoso, piccolo, rachitico ignorante
 E' grazie a mammà che la gioventu torrese, sin dalla Creazione è la più bella del mondo. Che non si provi il Signore, con tutto il rispetto, a ficcare il naso nelle famiglie torresi e pretendere che la sanità, il valore e soprattutto la bellezza dei giovani, che sono soprattutto figli, sia anche merito suo.
Che il Signore, a Torre, ancora con tutto il rispetto, si interessi dei propri figli che son tanti sparsi in tutto il mondo, perché i figli di Dio torresi sono prima figli di mammà.

 Ma se il Signore dovesse proprio insistere che fare i figli belli sia solo merito suo allora le mamme finiranno con l'indispettirsi. E non si lagnino i ministri di Dio se le mamme finiscono con il non andare spesso in chiesa e col pregare di meno, dicendo che il Signore da un po' di tempo a questa parte va in giro dicendo che i giovani sono suoi figli più dei vecchi e che di figli vecchi non ha di che farsene, dal momento che gli «attempati» sono solo «servi» di Dio. E provati a toccare un figlio a Torre, e guarda cosa ti capita. Già, che un figlio è figlio fino alla morte. Perché solo dopo la morte gli si da il permesso di vivere dove vuole. E non c'è da stupirsi, a Torre, se è il maschio che dice «torno da mammà». Ché se si prova una femmina di tornare a casa viene presa a calci nel sedere; ché se si prova una femmina a battere in ritirata gli vien rotta la testa e gli vien detto che non sarà mai una mamma degna del propri figli (flgli maschi, s'intende) perché essere madre dì femmine, a Torre, è la cosa più inutile di questo mondo.
Un'altra grossa qualità dei giovani torresi è quella d'esser molto religiosi, e lo dimostra il fatto che teniamo molto ai nostri preti, i preti giovani, s'intende. E non lasciamo che a questi si faccia alcuno scherzo. Né che lo scherzo lo facciano a noi gli altri preti, i non giovani. Ché fare scherzi da prete, a Torre, si sa è da suocera. E quando si parla di suocere, a Torre, sulla piaga più che mettere i dito è come affondare la mano intera. E siccome, generalmente la mano si mette sul fuoco, il maligno è tentato di dire che, dal momento che nessuno ha il coraggio di mettercevela, a parte Scevola, gran parte dell'ardore dei giovani l'abbiano accaparrato le suocere, le quali, più che nonne, sono le madri delle madri (il che è sostanzialmente diverso). E la colpa d'altronde non la si può attribuire a nessuno se questo fuoco, non essendo spento, dalle suocere esca continuamente dalla bocca, dal naso, dalle orecchie a mo' di dinosauro.
A chi mi dirà come mai in un argomento dei giovani si parli tutt'altro che di essi, mi giustifica il fatto che, anche grazie alle suocere, la gioventù ha preso fumo, al che quando si parla di giovani più che parlare al muro che riverbera il suono: è un po' come parlare alle suocere, cioè parlare a vuoto.
E Dio solo sa quanto costi oggi un giovane alla famiglia: la realtà che concretizza il rapporto genitore-figlio. E non bastano le beghe: "Tu mi hai fatto e mi mantieni"; "Tu sei il mio e ti mantengo". Che è la sintesi in parole della tragedia-fenomeno della nuova generazione.
Dov'è da ricercarsi la ragione per cui il torrese non sa né piangere né ridere; il torrese giovane, s'intende, perché l'altro, l'adulto, se non ha neppure più gli occhi per piangere, piange sempre con gli occhi degli altri. E mai s'è visto un giovane a Torre ridere con garbo, con gentllezza, nemmeno per questioni galanti. Egli magari sbotta, sghignazza, ride tra i denti, ma non sorride. Né piange con discrezione con l'amore e la passione che accompagnano il pianto, con l'arte del piangere. E' un piangere, quello del giovane a Torre, che più di un risentirsi, è un rimpiangere, che è un po' come piangere due volte. Forse perché un giorno non piangerà più. O non sarà capace di farlo.
E a chi ci viene a dire che il non saper piangere sia una malattia molto grave gli si dirà che il giovane, o Torre, non sa piangere perché gli hanno messo in testa che un vero uomo non piange mai. E che il pianto, più che la stessa femminilità, è l'arma ancora più efficace della lingua, per le donne.
Una gioventù, quella torrese, credete, che, più che perduta o bruciata, ha preso fumo, grazie a mammà, alla nonna e alla moderna società, che è la suocera di tutti.
1971 Luigi Mari


L'ALTRA FACCIA 
DEL POTERE

(Ovvero la versione torrese della livella di Totò)

Facciamo quattro chiacchiere a proposito del terreno inumativo scoperto nelle aiuole della Villa Comunale. Visto che di terreno speciale, a Torre, ve n'è da vendere (non da frodare) c'è poco da dire, forse perché se n'è già dette tante.
La mattina del 14 maggio metà Torre allibiva raccapricciata innanzi al terreno decisamente riconoscibile come appartenuto al cimitero. Le numerose congetture, comunque, non determinavano a quale cimitero appartenesse il materiale, fino al momento in cui alcuni torresi incominciarono a riconoscere i resti dei propri defunti, dalla qualità o importanza, naturalmente.
E così come ogni buon cittadino che si rispetti ciascuno prese a raccogliere il proprio ossicino, chi la tibia, chi un pezzo di femore, chi un'intera scapola. Alcuni li lucidavano, altri erano intenti a rovistare tra i lumini e le croci di latta, tra il cinguettio mattiniero degli uccelli, delle palme, degli abeti che abbelliscono la nostra villa comunale. Così a furia di raccogliere, talvolta con prepotenza, tramite spintoni e mugugnii, alcuni tentavano di ricomporre lo scheletro intero.
Naturalmente ci fu pure chi si mise in testa di recuperare l'intera famiglia degli antenati. Per non parlare dei ragazzi che all'occasione inventarono il gioco dell'osso più bianco. Ma i guai incominciarono quando i relitti non erano solo quelli relativi all'ossario, ma saltavano fuori ossa belle, già lucide, alcune d'un rosso strano quasi a sembrare rami di corallo, quali sono soltanto le ossa dei morti ricchi, quelli privilegiati delle cappelle. I meno abbienti erano anche disposti a tenere i resti dei propri defunti in quella che si poteva definire, la mattina del 14, la succursale del cimitero, ma non era giusto fare tutt'erba un fascio.
Qualcuno incominciò a dire che bisognava farsi le ossa proprie, tal'altri che riuscire nell'intento bisognava farsi le ossa e basta. Quindi alle maggiori accuse di sacrilegio si opponevano le difese. Alcune voci sostenevano che fosse molto probabile che il terreno, con gli anni, si fosse trasportato naturalmente, causa movimenti tellurici in rapporto al Vesuvio; altri dicevano che alcuni ossicini, vergognosi dell'ossario o delle sgangherate nicchie, avessero organizzato un'evasione per poter sgambettare felici davanti alla prospettiva di una vita migliore.
Ma l'accusa giustamente accesa di sdegno che andava per la maggiore era che oggi si arrivi a rubare anche al cimitero. Certo era toccante vedere il pregiato ossicino del. ricco cavaliere divenire un fischietto. Questa è cosa più tragica: alcuni scugnizzi, vedendo alcuni ossicini cosi lucidi, si direbbe nuovi, li forarono ricavando degli autentici fischi. Era commovente vedere il cavaliere non gia essere preso a fischi, da morto, ma divenire fischio egli stesso. Gli ossicini unti e incrostati di terra dei poveri non richiamavano l'attenzione dello scugnizzo. Ma quelli lucidi e nuovi, quelli si.
Non si creda che abbia voluto dire che la ricchezza e la potenza dei vivi prima o poi si riducono nient'altro che un fischio nelle mani di uno scugnizzo. Ecco perché la famiglia del Cavaliere aveva il diritto di protestare. Questi benedetti scugnizzi che non hanno la buona creanza di rispettare non già gli ossicini, ma i fischi dei ricchi, in questo caso.
E succede sempre così, la gloria, il sacrificio, la lotta della grandezza, crolla tutto insieme alle ossa? Dove credete sia andata a finire la gloria della gente bene torrese? Ed il potere e la sopraffazione? Là, nella Villa Comunale, alla mercé degli scugnizzi e dei cani randagi felici di saggiare un pasto, come dire, da signori... Dove credete che vadano a finire la nobiltà, la bellezza? Là, nelle aiuole, in un mucchio di ossa e terra sconsacrata. E chi avrebbe mai detto al cavaliere Tizio o al Commendatore Tale, che domani fosse diventato nient'altro che un fischio nelle mani di uno scugnizzo. Proprio così, la gloria e la potenza finiscono sempre in munnezza, che a Torre talvolta è di casa. I torresi hanno il diritto di gridare: Non toccateci i morti; anche se il maligno, alla fine, la mattina del 14, volle dire la sua: Non date credito a balle, è stato un tentativo per un cimitero di seconda classe, non già per i morti poveracci, ma per quelli destinati all'inferno e non degni di culto.
1971  Luigi Mari

VATTI A FIDARE
DEI POETI...

Bisogna essere canto, luce e bontà,
bisogna aprirsi per intero davanti alla notte nera
perché ci riempiamo di rugiada immortale.
Allora, all'ombra del cuore tarlato
nascerebbe una sorgente d'aurora
tranquilla e materna
e vedremo passare in una nuvola
Dio.

                                     Federico Garçia Lorca

Nel groviglio babelico di idee vedo apparire all'orizzonte l'anima candida di Garçia Lorca, che ci ammonisce con i suoi versi incontaminati. La lotta interiore istinto-ragione, natura-civiltà tentano di indicarci la strada piu naturale, consona alle nostre limitate possibilità.
So bene che ciascun torrese sa che il grande poeta spagnolo scrisse questi versi a Torre, non appena ebbe visitato, a caso, il nostro cimitero. So bene che i torresi non hanno mai dimenticato il monito meraviglioso che dal lontano 1926, quando fu pubblicato su un quotidiano napoletano, non appena Lorca partiva da Torre, e stata l'unica forma d'educazione impartita da genitori, educatori, pedagoghi.
Molti ricordano lo scalpore che suscitarono allora questi versi dedicati ai torresi, allora che la città era presa da una specie di torpore morale, allora che i torresi erano altro che gente-bene, come adesso, grazie a Dio.
Così si pensò subito di praticare i preziosi consigli in ordine di verso: Occorsero dieci anni perché il torrese divenisse canto, che non è soltanto essere puri, magnanimi (che non significa mangiare l'anima) e buoni, ma leggeri, fluidi e trasparenti come l'amore. Perché credete che molte ragazze di Torre siano così innamorabili? Esse sono canto un po' più degli uomini.
Non perché, la donna riesca a «canzonare» l'uomo, ma è canto per la facilità di sapersi librare nell'aria, trasportando con se il materialismo che la circonda. Tutto, a Torre, tramite alcune meravigliose donne, va all'aria, specie il denaro. Non c'e modo più bello per essere puri che quello d'essere canto; ma non bastava, secondo Lorca, per vedere passare in una nuvola Dio, mandare all'aria tutto.
Così il torrese incominciò ad imparare ad essere luce, ma non fu una cosa facile come per il canto. Poi usufruì allo scopo la luce solare. Un sole, quello di Torre che, guarda un po', non spacca le pietre, ma la gente. Un sole che penetra nel capo quasi a spaccarlo perché saltino via in qualcuno brutture e bassezze, per non dire lordure. Così molti torresi riescono ad essere luce, ma solo quando c'e il sole. Non vi passi per la testa, cari stranieri, per carità, di venire a Torre quando i torresi non sono luce; non si sa cosa potrebbe accadervi. In un magnifico giorno d'estate, quando Torre, effettivamente, vista dall'alto, (e non dal piedistallo) è un paradiso, quando il nostro «Miglio» è d'oro più che mai e l'aria è profumata di salsedine mista di ottano e piombo ed una percentuale, sebbene povera, di ossigeno sprigionato dalla vegetazione; quando il sole e lì, basso, quasi a portata di mano e non di portafoglio (come il maligno potrebbe pensare); ebbene, allora il torrese è luce più che mai. Vi scaricherà il suo conto in banca, vi regalerà i suoi immobili e, sebbene ricco e, per così dire, potente, dirà nientedimeno d'essere uguale a voi che siete un povero cristo.
Questo accade sempre quando il torrese è luce, come ordinava il poeta a Torre nel lontano 1926. Voglio dire quando il sole gli batte sulla testa. Non intendo dire affatto che il torrese, predisposto ai colpi di sole, sia luce. Esso lo è soltanto perché fa da satellite alla terra dove poggia i piedi. E non è vero che noi torresi quando facciamo del bene andiamo con i piedi di piombo, non altro perché, spesso, quando si va con i piedi pesanti si rischia che il terreno manchi da sotto. E non vi passi per la testa, per carità, di venire a Torre ed innamorarvi. Non perché avete fatto i conti senza le suocere, che l'amore non lo concepiscono come luce naturale, ma artificiale. L'amore a Torre è proibito farlo alla luce del sole, ma con luce tenue; basta una torcia tascabile. Senza la «pila», non vi passi per la testa di innamorarvi, a Torre, o i conti con le suocere li farete in cifre. La cosa più bianca, diceva Bertoldo, non è il latte ma la luce, e Federico Garçia Lorca intende per luce la mente umana pulita, innocente.
Così, conquistata la luce, si passa ad «aprirsi per intero», che è il modo più nobile di morire. E, a Torre, morire e un po' come un vivere orizzontale. Non voglio dire affatto che molti torresi sembrano morti nell'anima, ma che molti morti sembrano vivi nel corpo; tanto che i morti, spesso, servono più dei vivi, non al morto, che crede di vivere, ma al vivo, che non sa d'essere morto.
Ci si apre così tanto per intero davanti alla morte, a Torre, che è difficile distinguere un cadavere da un vivente, e quando fa politica, e quando si desta, e, addirittura, quando va a votare. «Bisogna aprirsi per intero», così finì il verso, il poeta. Si vuole che in un secondo momento aggiungesse «davanti alla notte nera». Per questo il torrese imparò dapprima ad aprirsi alla libertà, poi alla morte che è un modo di essere libero molto silenzioso.
La conquista della «sorgente d'aurora» fu una conseguenza delle conquiste precedenti, come prediceva il poeta. In quanto al cuore tarlato, il torrese non ha problemi. Innanzi alla paura (del trapano, s'intende) il torrese i denti preferisce cavarli. E non pensi, il maligno, che abbia voluto dire che, spesso, il torrese è senza cuore.
Sempre a proposito della sorgente d'aurora, la città dovette sembrare al Lorca qualcosa di molto penetrabile: madre, fecondità, fertilità. Indubbiamente lo è, non solo perché a Torre si effettuano due raccolte l'anno, ma perché a Torre matura tutto, perfino le malattie. E bisogna guardarsi bene dal venire a Torre, che so, da mezzi scemi o da pecore zoppe. Né vi passi per la testa di andare in giro dopo le nove di sera in inverno; o, peggio, di attendere un mezzo pubblico su un marciapiede. Gli occhi dei torresi vi lanceranno l'anatema: se siete donne, sul marciapiede rischiate di rimanerci. Alle nove di sera il sole non c'è e molti torresi non sono più luce.
Nel cuore dei torresi c'è stata sempre la «sorgente d'aurora» specie quella tranquilla e materna. Una sorgente che è un po' come una risorsa inesauribile. Una pace e una tranquillità simile alla sensazione inconscia del ritorno al grembo materno. E così per merito di Garcia Lorca, molti torresi sono figli alle stesse madri: «nostra madre scuola», «nostra madre chiesa», «nostra madre politica». Non c'è cosa più bella della sorgente d'aurora tranquilla e materna conquistata dai torresi dopo tanti sacrifici. E non c'è da stupirsi se i torresi, spesso, alzano gli occhi al cielo. Ma sono molti anni che lo fanno senza alcun risultato. Avranno sbagliato strada. Tanto impegno per divenire canto, luce e bontà, tanto sacrificio per aprirsi alla notte nera, accoccolati poi sotto l'aurora tranquilla e materna. E Dio? Solo un banco di nuvole color latte crema che s'allontana ad Oriente.
Vatti a fidare dei poeti!
1972                                            Luigi Mari